Toccare la bellezza attraverso il gioco – II puntata

Toccare la bellezza attraverso il gioco – II puntata

Questo secondo appuntamento della miniserie ‘pedagogiocosa’ presenta inizialmente alcuni elementi riconducibili alla biologia del gioco, esplicitando l’importanza di quest’ultima per i processi di apprendimento e lo sviluppo sociale. Si approfondisce poi l’apprendistato cognitivo, inteso come strategia necessaria per promuovere quella finezza e quella maestria indispensabili a un’esplorazione sempre più accurata del mondo in cui siamo immersi. Infine, si traccia una possibile ‘rotta paradigmatica’ con i pluralismi epistemologici di costruttivismo e costruzionismo che valorizzano e sostengono i multiversi dell’azione conoscitiva. All’interno di questa cornice, Il gioco  rappresenta un grimaldello operativo che combina curiosità, fantasia e sperimentazione, uno spazio fisico e virtuale, in cui muoversi, esplorare e collaborare.

Giocando si apprende... e si inventa

È più che mai necessaria un’educazione estetica da intendere come educazione alla bellezza. Un’azione formativa rivolta alla sensibilità, dove quest’ultima espressione è colta nella sua duplice capacità di ricevere impressioni attraverso i sensi e di attitudine a cogliere e vivere pienamente il ventaglio di sfumature affettive ed emotive. L’errore, in questa cornice educativa, costituisce un elemento irrinunciabile della conoscenza scientifica e del pensiero pedagogico. Per Maria Montessori l’errore è un amico che va accolto e di cui dobbiamo prenderci cura: bambine e bambini lo sperimentano con naturalezza.

A partire dall’errore, cosa può essere creato? A partire dalla scoperta dell’errore, cosa può essere capito delle proprie misconcezioni? L’errore si trasforma in una preziosa occasione per rendersi conto in autonomia delle modalità opportune con cui svolgere le proprie attività, da cui scaturiscono gli apprendimenti: sbagliando s’impara! Secondo Munari l’errore scatena invenzione e genialità. Sbagliare è un atto creativo per scardinare gli schemi costituiti e dà vita a qualcosa di bello e impensato, attraverso ‘pregiati ingredienti’ quali ricerca, sperimentazione, capacità progettuale e ironia : sbagliando si inventa!

E come sperimentare l’errore in un contesto protetto, se non attraverso il gioco?

Il gioco è un’esperienza vitale e il cervello ama giocare: un abbraccio giocoso e gioioso tra neuroscienze e pedagogia. Il gioco rappresenta un meccanismo naturale installato nei geni del nostro DNA. Negli anni ’70 dello scorso secolo, il neurobiologo francese Jean-Pierre Changeux ha dimostrato che il nostro cervello, anche quello di noi adulti, è immerso in un processo di continuo rinnovamento, capace di adattarsi e di modificare la propria ‘struttura plastica’ in modo da offrire costantemente il substrato neurobiologico più appropriato per favorire il processo di interiorizzazione dell’azione che innesca la magia dell’apprendimento: dal gesto alla parola, dalla parola all’ideazione, dalla teorizzazione alla creatività (Alberto Munari, 2021). Questa plasticità apprenditiva del nostro sistema nervoso è alimentata dai variegati processi di interiorizzazione delle nostre azioni ed esperienze concrete che viviamo quotidianamente; ogni nostro gesto che impariamo quanto tocchiamo qualcosa di nuovo, imprime la propria impronta nel nostro cervello: apprendimento e gioco costituiscono le facce della stessa medaglia. “Ogni nostra parola, ogni nostro concetto, una volta era un gesto”, ci suggerisce il famoso paleontologo francese André Leroi-Gourhan. Possiamo delineare una ‘biologia del gioco’, affermando che siamo stati geneticamente programmati per il gioco, perché quest’ultimo rappresenta un’attività che comprende significative implicazioni per l’apprendimento e lo sviluppo sociale. “Il gioco è il modo che ha l’evoluzione per assicurarsi che gli animali acquisiscano e perfezionino delle abilità preziose in circostanze di relativa sicurezza” afferma il biologo Richard Byrne. Infatti, è sufficiente osservare il regno animale per verificare quanto il gioco sia fondamentale per la natura umana e comprendere il motivo per cui potremmo esserci evoluti, ricercando e traendo piacere dal divertimento. A riguardo, è illuminante Il mio amico in fondo al mare, documentario vincitore degli ultimi premi Oscar nella categoria di riferimento.

Octopus Teacher

Nel lungometraggio, dai suoni ovattati e colori tenui, ci viene mostrata la relazione che il regista Craig Foster riesce a tessere con un esemplare femmina di polpo, che sceglie di condividere con l’uomo, appassionato del mondo sommerso, i misteri del mare. E un giorno, in mezzo a un banco di salpe, in acque poco profonde, all’improvviso il polpo comincia a dimenarsi; non era un comportamento da predatore: voleva semplicemente giocare con i pesci.

Esplorare attraverso l'apprendistato cognitivo

L’agire concreto attraverso il gioco assume un’importanza capitale per lo sviluppo cognitivo e relazionale. L’esercizio consapevole della gestualità, la sperimentazione guidata delle molteplici variazioni di ogni nostro gesto, sono le strategie necessarie per promuovere quella finezza e quella maestria indispensabili a un’esplorazione sempre più attenta del mondo in cui siamo immersi, come avviene nelle pratiche di apprendistato cognitivo.

Chi apprende ha spesso bisogno di cominciare dalla periferia dell’attività autentica e di muoversi poi progressivamente, con il crescere della sua sicurezza relazionale e delle sue competenze operative, verso una piena partecipazione ai lavori della comunità. L’obiettivo del prender parte a una pratica socioculturale consiste quindi, a livello individuale, nel raggiungimento di una partecipazione completa, ovvero nella capacità di colmare la zona di sviluppo prossimale (ZSP), che Lev Vygotskji definisce come

 

[…] la distanza tra il livello attuale di sviluppo così come è determinato dal problem solving autonomo e il livello di sviluppo potenziale così come è determinato attraverso il problem solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci attraverso la mediazione dialogica. […] La zona di sviluppo prossimale definisce quelle funzioni che non sono ancora maturate, ma che sono nel processo di maturazione, funzioni che matureranno domani ma sono al momento in uno stato embrionale. Queste funzioni potrebbero essere chiamate i ‘boccioli’ o i ‘fiori’ dello sviluppo piuttosto che i ‘frutti’ dello sviluppo. Il livello reale di sviluppo caratterizza lo sviluppo mentale retrospettivamente, mentre la zona di sviluppo prossimale caratterizza lo sviluppo prospettivamente; […] la teoria di una zona di sviluppo prossimale ci permette di proporre una formula nuova, cioè che l’unico ‘buon apprendimento’ è quello in anticipo rispetto allo sviluppo. [Vygotskij 1980, pp. 127-128]

[…] prima che apparisse la scuola, l’apprendistato era il mezzo più comune di apprendimento e si usava per acquisire una pratica esperta in settori che andavano dalla pittura alla scultura e dalla medicina alla giurisprudenza. Anche oggi molte importanti e complesse capacità, quali quelle relative all’uso del linguaggio e all’interazione sociale, sono imparate informalmente attraverso metodi simili all’apprendistato, ovvero metodi che non implicano insegnamento ma osservazione, assistenza e approssimazioni successive. […] le capacità e le conoscenze, […] nell’apprendimento tramite apprendistato, […] sono strumentali per la realizzazione di compiti significativi. [Collins et alii 1995, p. 181]

L’apprendistato cognitivo propone metodi di avvicinamento alla pratica esperta che si attuano per approssimazioni successive e richiedono un’integrazione tra i processi cognitivi e quelli metacognitivi di chi apprende; esplicita poi la natura della competenza esperta, portando alla luce i processi operativi che la caratterizzano attraverso la progettazione di attività̀ che ne facilitano l’acquisizione in esperienze di pratica guidata.

 

[…] l’apprendistato cognitivo è diretto all’insegnamento dei processi usati dagli esperti nell’affrontare compiti complessi. Rispetto alle conoscenze fattuali e concettuali, l’apprendistato cognitivo ne sottolinea la funzione nel risolvere problemi ed eseguire compiti; ovvero esemplifica e colloca queste conoscenze nel loro contesto d’uso. [Collins et alii 1995, p. 186]

 

La cultura della competenza esperta si fonda sulla creazione di un ambiente di apprendimento in cui i partecipanti collaborano tra loro e sono impegnati nell’esercizio delle loro competenze, intendendo per competenza l’insieme delle pratiche per la risoluzione di problemi e per l’esecuzione di compiti in un contesto sociale; è quindi fondamentale allestire ambienti educativi in cui chi apprende si senta sollecitato a utilizzare capacità strumentali alla realizzazione di compiti significativi, intrinsecamente connessi a uno scopo ritenuto interessante e non esclusivamente riconducibili all’obiettivo di conseguire una valutazione positiva. Sollecitare la cooperazione, grazie ad attività esperienziali riconducibili a forme di gioco coerenti con gli ambiti disciplinari di riferimento,  ha un effetto decisivo sulla motivazione dei singoli e si rivela una procedura efficace per favorire l’approfondimento della conoscenza, perché costituisce un’occasione ulteriore di scaffolding che si realizza nella forma di supporti, competenze e processi distribuiti tra i componenti del gruppo; lo scaffolding è un’attività cognitiva e relazionale che l’esperto, spesso un componente del gruppo di pari, svolge come sostegno motivazionale a chi apprende. Un ulteriore effetto positivo del lavoro (gioco!) di gruppo consiste nel manifestarsi di una forma positiva di competizione: chi apprende si impegna infatti a migliorare il proprio rendimento, valutando gli aspetti meno positivi della propria prestazione anche in relazione alle prestazioni degli altri componenti della comunità di apprendimento; a riguardo, affinché la competizione dia risultati coerenti con gli obiettivi educativi dal punto di vista dell’etica e dell’ecologia relazionale, e non degeneri in forme di individualismo oppositivo, i confronti devono essere condotti prevalentemente tra i processi e non tra i prodotti realizzati (né, tantomeno, in riferimento alle persone).

Artefatti con cui giocare: costruttivismo e costruzionismo

Le riflessioni sull’apprendistato cognitivo ci invitano ad addentrarci in un territorio imprevedibile e sorprendente, quello dell’epistemologia costruttivista. Nella costruzione della conoscenza non vi è alcuna ‘precedenza’ né del soggetto né dell’oggetto, ma soggetto conoscente e oggetto conosciuto si co-costruiscono ricorsivamente nel processo delle loro interazioni: il soggetto conoscente costruisce se stesso mentre costruisce l’oggetto (e il contesto) da conoscere e contemporaneamente gli strumenti stessi della conoscenza (Jean Piaget, 1937). Soggetto, oggetto e contesto rappresentano una triade cognitiva e relazionale in costante evoluzione sinergica: è lampante il danno di ogni ‘agire educativo’ che non tenga conto di questi intrecci sistemici. Secondo l’approccio costruttivista nella sua matrice socio-culturale, quindi, l’apprendimento consiste in un processo di costruzione individuale della conoscenza che avviene nei contesti sociali di riferimento. Seymour Papert, con il costruzionismo, aggiunge un “mattoncino” in più e suggerisce una sorta di pluralismo epistemologico per valorizzare e sostenere i multiversi dell’azione conoscitiva; chi partecipa a percorsi educativi costruisce la conoscenza nel modo più efficace possibile quando è coinvolto attivamente nel realizzare ‘cose’ nel mondo, cioè quando sono realizzati artefatti cognitivi e relazionali e si esplorano idee potenti che sono rese operative.

Giocare con ‘Fantasia’

Come anticipato nel precedente articolo, alcune influenze e suggestioni culturali colte da Munari all’inizio del suo percorso artistico e creativo provengono da certe poetiche del futurismo – con il manifesto di Marinetti intitolato “Il Tattilismo” – e, inoltre, dalle nuove teorie del Bauhaus. In entrambi le correnti il comune denominatore è la rivalutazione di tutti i sensi in ambito artistico ed estetico, con un’esaltazione particolare  dell’educazione al tatto. Per la prima volta, i materiali non sono utilizzati per le loro qualità visive o espressive ma per le sensazioni che trasmettono al contatto con le mani, sensazioni che assumono un significato codificato. Anche il pedagogista tedesco Friederich Fröbel, ideatore delle “scuole-giardino”, mette al centro i giochi sensoriali alla base dello sviluppo creativo del bambino.

Fantasia rappresenta uno lavoro significativo sulla creatività. Pubblicato nel 1977, è un piccolo capolavoro ricco di spunti di riflessione. Bruno Munari, in questo volume, propone una distinzione tra fantasia, invenzione, creatività e immaginazione. Poi, le mette in relazione con l’intelligenza e l’apprendimento, portando al lettore una serie di esempi illuminanti. Descrive queste quattro attitudini, in sintesi, come segue:

  • Fantasia: permette di pensare a tutto ciò che non esiste, anche assurdo e irrealizzabile:
  • Invenzione: è la realizzazione di qualcosa che prima non c’era ma solo per uno scopo pratico, senza porsi problemi estetici;
  • Creatività: combina fantasia e invenzione per produrre qualcosa di funzionante e realizzabile (cioè un’applicazione concreta della fantasia);
  • Immaginazione: permette di immaginare, appunto, quello che la fantasia, l’invenzione e la creatività producono.

Le riflessioni che il designer italiano ha fornito sono coerenti con alcuni elementi della spirale di apprendimento creativo ideata da Mitchel Resnick [2018], tra i maggior esperti di tecnologie educative e docente al MIT di Boston. Il modello, rappresentato graficamente dall’immagine che segue, comprende e valorizza alcuni passaggi, come l’immaginazione, il gioco e la condivisione, che sempre più si stanno perdendo nelle iniziative di formazione professionale. Un processo che prende avvio con l’immaginazione e ricomincia in modo ricorsivo, senza soluzioni di continuità, ancora una volta con l’immaginazione; si genera un percorso virtuoso che indica il passaggio dal lifelong learning al lifelong Kindergarten, una sorta di giardino d’infanzia per tutta la vita, per riprendere il termine coniato proprio da Fröbel nel 1837 [Resnick, 2018]

Spirale Apprendimento Creativo

Ci siamo quasi dimenticati come si fa a ridere e a giocare. Riscopriamolo! Il gioco non esige spazi aperti o giocattoli costosi: richiede una combinazione di curiosità, fantasia e sperimentazione. Andrebbe progettato, metaforicamente, una sorta di parco giochi, uno spazio fisico e virtuale, in cui muoversi, esplorare e collaborare. “L’uomo è più vicino a se stesso quando raggiunge la serietà di un bambino mentre gioca”, sosteneva Eraclito, e “serious play” è l’espressione che è possibile attribuire al processo in cui ci si immerge per attraversare pienamente l’esperienza e portare creatività, ispirazione e vitalità, tutti elementi propri dell’attitudine giocosa, negli ambiti più disparati dei contesti umani. Bisogna riabilitare la serietà del gioco: il gioco ha un valore educativo e formativo in tutte le età della vita.

“Siccome è quasi impossibile modificare il pensiero di un adulto, noi dovremo occuparci dei bambini”, suggeriva ancora Munari; quasi impossibile, non impossibile. E allora, impariamo tutti a diventare progressivamente esperti timonieri che con destrezza navigano le acque delle competenze giocose; anche se dovessimo incontrare una tempesta sulla nostra rotta non dobbiamo temerla, perché, parafrasando l’Infinito di Giacomo Leopardi, “il naufragar c’è dolce in questo mare”. 

Riferimenti bibliografici

Collins A. et alii, L’apprendistato cognitivo. Per insegnare a leggere, scrivere e far di conto, in Pontecorvo C., Ajello A.M., Zucchermaglio C. (a cura di), I contesti sociali dell’apprendimento, LED, Milano 1995

Papert S., Mindstorms, Children, Computers and powerful ideas, Basic Books, 2020

Quagliata A., I-learning. Storie e riflessioni sulla relazione educativa, Armando Editore, Roma 2014

Resnick M., Come i bambini. Immagina, crea, gioca, condividi, Erickson, 2018

Toccare la bellezza, Corraini Edizioni, Mantova 2021 (catalogo mostra)

Vygotskij L.S., Il processo cognitivo, Boringhieri, Torino 1980