Rodari e il gioco fantastico della narrazione

Rodari e il gioco fantastico della narrazione

Il contributo assume le sembianze di una magica storia, una sorta di feuilleton, un romanzo a puntate (un ‘episodio’ a settimana) che intende condividere alcuni elementi riconducibili alla ‘lezione’ pedagogica di Gianni Rodari, esplicitando l’intreccio virtuoso tra narrazione e gioco, un binomio fantastico.

I puntata - L’invenzione del gioco ‘imperfetto’

“L’uomo gioca unicamente quando è uomo nel senso pieno della parola, ed è pienamente uomo unicamente quando gioca”
(Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo)

 

Il gioco riveste una centralità primaria nella scrittura rodariana; le storie non sono che un prolungamento, uno sviluppo, un’esplosione festosa del gioco. “il gioco, pur restando un gioco, può coinvolgere il mondo” (Rodari, Grammatica della fantasia, p. 6). Per lo scrittore il gioco costituisce una straordinaria sorgente del fantastico e dell’immaginazione ed è contemporaneamente un’esperienza imprescindibile del bambino perché gli offre la “possibilità di sperimentare con il caso”, consentendogli di esercitarsi con la “ricapitolazione dell’esperienza del tempo”. Il gioco rappresenta, secondo Franco Cambi, “l’animus dell’infanzia rodariana” e, oltre a essere una condizione primaria di conoscenza del mondo e di costruzione di relazioni sociali, costituisce un mezzo straordinario per esprimere emozioni e mettere in scena i propri drammi interiori. Il gioco è una proiezione, una ‘protesi’ della persona. In un’intervista impossibile del 1975, del resto, fa dire ad Ariosto che “il gioco è una cosa seria. Utile come il pane, importante come il lavoro”. I giochi di parole hanno in comune la natura: rappresentano variazioni della norma linguistica, per esempio ortografica. Quello narrato da Rodari come una distrazione all’interno della filastrocca è certo un errore; ma ciò che lo scrittore fa col narrarlo è un gioco. Mette in scena un gioco per divertire i suoi lettori perché prima o fuori dalla scuola l’errore non è affatto temuto. A venire liberata e risultare liberatoria nei giochi rodariani è quella che Viktor Sklovskij chiamava l’energia dell’errore. La magia vive nelle fiabe, dove pur toccando le parole anche solo per errore cambia il mondo. Sbagliando si inventa è il motto rodariano, in coerenza con la visione educativa di Bruno Munari, il prestigioso illustratore di tanti suoi lavori editoriali che lo accompagna per un decennio. Gli errori sono materiale di lavoro, demonizzarli fa sì che gli studenti temano di tentare, di azzardare, di provare, e inoltre gli errori sono anche strumenti didattici attraverso i quali è possibile creare, ideare, aprire nuovi mondi. Sono utili perché rivelatori dei processi di pensiero, delle comprensioni e delle incomprensioni. Sono necessari perché si passa attraverso approssimazioni successive ed errori in qualsiasi tipologia di processo apprenditivo (pensiamo, ad esempio, quando abbiamo imparato a camminare). Sono belli perchè generativi, come l’invenzione del trinocolo. 

Once Upon A Time

C’era una volta… anzi c’era due volte… e perchè no, c’era tre volte? Tre volte come il trinocolo, un normale binocolo che grazie a una terza lente permette di vedere dietro. (Rodari, Il pianeta degli alberi di Natale). L’imperfetto sembra essere il tempo prediletto dell’intellettuale originario di Omegna, perchè pronunciato dai bambini quando entrano nei panni di una personalità immaginaria, quando si avvicinano alla favola, proprio lì sulla soglia, dove avvengono gli ultimi preparativi prima del gioco. Figlio legittimo del c’era una volta è poi un tempo speciale, un tempo inventato, un verbo per giocare, appunto.

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