Lezioni di Nonsense – I bambini sono maestri

Lezioni di Nonsense – I bambini sono maestri

Dopo cinque anni di risata incondizionata posso dire di essermi (in parte) riappropriata dell’umorismo tipico dei bambini, che non è quasi mai cinico.

In realtà l’umorismo di ognuno di noi si forma nei primi anni di vita, ed è naturalmente legato al tipo di umorismo in cui siamo immersi. In poche parole assorbiamo i modelli umoristici delle persone con cui abbiamo passato più tempo nella nostra infanzia e li ricalchiamo.

Mi sono chiesta varie volte da cosa fosse scatenata la risata pura e non contaminata dai vari tipi di umorismo.
Dopo anni di animazione per bambini e altrettanti con mio figlio mi sono resa conto che i bambini ridono prevalentemente per questioni percettive, ovvero legate ai sensi: una faccia buffa, un suono strano, un movimento improvviso e incoerente. Niente di troppo complicato. Proprio come avviene per le catarsi durante le meditazioni della risata: il linguaggio è abolito e tutto ciò che rimane sono le percezioni e i sensi.

Oppure ridono, quando sono padroni efficaci del linguaggio, per un nonsense legato al significante o al significato delle parole: cambiando i suoni delle parole comuni, distorcendole, cambiando le vocali, parlando una lingua inventata (“Mamma guarda parlo spagnolo Ciaos amigos, tutto benes? oppure “carafulli binega, gnappo gnappo?”).

Data questo piccolo preambolo voglio raccontarvi cosa mi è successo qualche tempo fa. Stavo insegnando a due bambini il gioco della Morra.

Il gioco consiste nell’indovinare la somma dei numeri che vengono mostrati con le dita dai giocatori. Simultaneamente i due giocatori tendono il braccio mostrando il pugno oppure stendendo un numero di dita a scelta, mentre gridano (quasi a voler intimorire l’avversario) un numero da due a dieci (il dieci è anche chiamato “morra”).

Dopo aver fatto qualche lancio e aver capito la tecnica, la bambina, (invece di dire ad es. 7 o 9) lancia il numero “80”, un attimo di silenzio e entrambi cominciano a ridere come matti. Anche io ridacchio, sentendomi bambina con loro e apprezzando (forse in maniera troppo razionale) quel piccolo diversivo – che probabilmente nessun adulto avrebbe proposto. Magari lo avrebbe pensato, ma probabilmente non detto perché forse ritenuto semplice e un po’ ridicolo per un “grande”.

È il turno del bimbo che è ancora scosso dalla ridarella e che –  stimolato dalla proposta da outsider della bambina – invece di un numero – dice “Lamborghini”. Stavolta, come se ci aspettassimo già qualcosa di diverso, abbiamo riso come matti, ancora di più.

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Sono estasiata. Adoro il nonsense. Quel bambino non saprà mai che botta di consapevolezza mi è arrivata dentro, con una parola buttata là. Mi sono resa conto che tutti gli esercizi che propongo agli adulti ai corsi di Gibberish e Nonsense, per uscire “out of the box” ed esercitare il pensiero laterale, sono il pane quotidiano dei bambini.

Qualche anno fa non avrei notato niente di tutto questo. Non mi sarei stupita di niente.

Forse non avrei neanche riso con loro. Nonostante io abbia lavorato per anni con i bambini non avevo nessuna consapevolezza di alcuni processi. È come aver ritrovato una piccola lente di ingrandimento.

E sono sicura che tutto questo sia avvenuto grazie allRisata incondizionata e alla volontà di ridere con il corpo, lasciando stare la mente. Piano piano ho recuperato il tipo di ilarità di quando ero bambina senza sentirmi in nessun modo ridicola. La trovo anzi pura e meravigliosa.

Ora, questo che vi ho appena raccontato di sicuro non avrà fatto ridere voi quanto ha fatto ridere me.  Quello che mi sono portata a casa ieri sera è stato – nonostante lo sapessi già – una accresciuta consapevolezza che i bambini hanno già tutto dentro e – spesso per colpa di noi grandi – rischiano di perderlo. Come lo abbiamo perso noi, negli anni.

Ricominciamo a fare le smorfie, a dire parole strane in lingue inventate, a rotolarci con loro per terra, a fare la lotta, i versi strani, a trasformarci in animali preistorici e inciampare nelle ciabatte.

Innovazione e creatività – parole di cui quasi tutte le aziende oggi parlano – sono a portata di mano, quando i top manager tornano a casa dai propri figli.